In questi giorni è uscito nelle sale un
bel film che fa riflettere : Beata ignoranza.
Ebbene chi non l’ha esclamata,
questa frase, almeno una volta nella vita ?
Il film narra le vicende di due
professori uno, totalmente estraneo alla tecnologia a favore dei tramonti, dei libri,
delle poesie e meditazioni filosofiche
sulle panchine nei parchi ( Giallini) e
l’altro ( Gassman) che invece è vittima dei social media, un uomo dalla faccia sempre
in rete, inadatto a veri rapporti sociali, incapace di staccarsene come ne
fosse malato.
All’apparenza sembrerebbe di leggerne
il senso: si è più felici se
non si riesce a vedere quello che succede nel mondo, la prigionia di non sapere
è molto più piacevole se le sbarre sono invisibili e non vogliamo che internet
abbia il dominio comune delle nostre idee, del nostro pensiero e della nostra
vita, per poi rigirare il tutto al solo scopo di renderci infelici e schiavi di
un sistema studiato a tavolino per renderci dipendenti. Perché se ci pensiamo bene la “ nostra vita”
una volta approdata sui social è davvero ancora nostra? Le parole chiavi sono proprio "nostra" e
"vita".
Perché diciamolo: l’aggettivo possessivo “ nostra” indica "proprietà", dunque privacy,
riservatezza. La seconda parola invece è semplicemente “tutto”.
Senza aggiungere altro, vi consiglio il film
perché ci permette di riflettere su come la "rete" ci condiziona. Magari
cos'è internet lo sappiamo tutti.. insomma, quasi..ma delle conseguenze che le
voci fredde del web hanno sul nostro vivere, lo capiamo solo quando una donna
s’ammazza perché il suo fidanzato ha sparato in rete la sua intimità.
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